"C’è un vecchio adagio del settore che dice che l’acqua al calcestruzzo fa male se aggiunta in fase di produzione e getto e fa bene se aggiunta dopo."
Si tratta ovviamente di una semplificazione, dato che lo sviluppo delle prestazioni meccaniche di un calcestruzzo nascono dalla reazione tra legante (cemento) e acqua, ma questa frase fa capire un principio molto importante, e non sempre rispettato: per sviluppare le proprie prestazioni il cemento ha la necessità di una quantità di acqua “giusta”, dopo di che l’acqua “in eccesso” ha il solo obiettivo di favorire il raggiungimento di una certa lavorabilità, ma tale “eccesso” può comportare una perdita di qualità, in particolare in termini di prestazioni fisico meccaniche, impermeabilità e durabilità. Viceversa, al fine di evitare una dannosa disidratazione del calcestruzzo in fase di indurimento, una stagionatura umida è quanto mai utile per lo sviluppo delle prestazioni attese del calcestruzzo: ecco perché l’acqua aggiunta dopo “fa bene”.
Le prestazioni meccaniche di un calcestruzzo sono molto legate al rapporto acqua/cemento (water cement ratio) essendo quest’ultimo giustamente considerato l’indicatore qualitativo principale di ogni conglomerato cementizio da cui derivano una serie di proprietà di origine chimico fisico meccaniche. Un basso rapporto acqua cemento porta a una pasta cementizia più compatta e, quindi, più resistente, più impermeabile, più durevole, con minori rischi di ritiro se si prendono opportune precauzioni.
Con il termine “rapporto acqua/cemento” si intende la relazione fra la quantità d’acqua definita efficace (free water) e il contenuto di cemento dell’impasto.
Per acqua efficace si intende l’acqua aggiunta all’impasto in fase di confezionamento, tenendo presente anche l’umidità superficiale degli aggregati che si stanno impiegando.
Ma se il rapporto acqua cemento è così importante, perché allora si tende ad aggiungere acqua in eccesso? la risposta la conosciamo tutti: nonostante l’impiego di superfluidificanti riduttori d’acqua (Water Reducing Agent, WRA) che contribuiscono notevolmente al miglioramento delle proprietà reologiche, si desidera, in fase di getto, un incremento ulteriore della consistenza per facilitare ancora di più la posa del calcestruzzo.
Se si aggiunge, infatti, la sola acqua necessaria per l’idratazione il calcestruzzo è “troppo rigido” ed è difficile da gettare. Aggiungendo acqua si aumenta la classe di consistenza, ovvero si migliora la lavorabilità del calcestruzzo consentendo allo stesso materiale di riempire facilmente l’interno delle all’interno delle casseforme. Ma la riaggiunta di acqua in fase di getto porta ad una serie di conseguenze negative per tutte le proprietà chimico fisiche meccaniche progettate nella fase di studio del proporzionamento della miscela (mix design), come la riduzione della resistenza, la presenza di materiale segregato, presenza di vespai, fessure da ritiro plastico e idraulico in superficie al calcestruzzo.
Con l’inevitabile compromissione della vita utile di servizio delle strutture progettata da parte del calcolatore.
Sono molteplici le ragioni per cui si aggiunge acqua al calcestruzzo e le responsabilità, talvolta, sono condivise tra tutti gli attori del processo.
L’ignoranza tecnica di chi sta in cantiere, la volontà di chi trasporta il calcestruzzo di ridurre lo sforzo di rotazione della botte dell’autobetoniera, il desiderio di ridurre la fatica di getto dell’impresa però ... fa ricorrere ancora troppi cantieri al rubinetto dell’acqua, depotenziando il calcestruzzo. La cronica assenza del direttore lavori e la mancanza di esecuzione di controlli di accettazione realmente rappresentantivi fanno il resto. Alcune aziende della filiera del calcestruzzo – poche, ne ho notizia di una sola – hanno fatto una scelta radicale, hanno chiuso i rubinetti delle botti. Un provvedimento che dovrebbe essere adottato per legge.
Le soluzioni per migliorare la lavorabilità del calcestruzzo senza aumentare il rapporto acqua cemento ci sono e sono ampiamente disponibili agli attori della filiera.
La chimica applicata all’industria della produzione del calcestruzzo ha fatto negli ultimi anni passi veramente importanti. Basti citare l’enorme sviluppo dei superfluidificanti riduttori d’acqua, oggi forse arrivati alla quarta generazione, che hanno portato a progettare, produrre e gettare calcestruzzi superfluidi e calcestruzzi autocompattanti (SCC).
Oggi con dosaggi di prodotti tecnologicamente avanzati non solo è possibile aumentare la lavorabilità in modo importante senza toccare il rapporto acqua/cemento, ma anche arrivare a migliorare altre prestazioni, come la resistenza meccanica, la resistenza alla penetrazione di acqua e alla resistenza alla penetrazione e alla diffusione di agenti aggressivi, la riduzione del ritiro, ecc.
L’esempio più eclatante, negli ultimi anni, è rappresentato dallo studio dei mix design dei calcestruzzi autocompattanti, ovvero calcestruzzi in grado di “correre” all’interno dei casseri avvolgendo anche i sistemi di armatura più fitti e complessi senza problemi di segregazione.
Le prime correlazioni tra la resistenza del calcestruzzo e il rapporto a/c risalgono quarant’anni fa da Adam Neville. In questo articolo non ne troverete nessuno perché è stato più volte scritto e spiegato come per ogni tipologia e classe di cemento esiste una curva di correlazione che i produttori di calcestruzzo dovrebbero bene conoscere alla luce dei propri materiali.
Ai progettisti viene richiesta la chiarezza delle prestazioni, la chiarezza delle classi di consistenza, la chiarezza dei requisiti aggiuntivi che solo la UNI EN 206:2016 può fornire loro.
Qualsiasi “intromissione” di tipo invasivo nei riguardi della composizione delle miscele non può che generare confusione ed essere oggetto di contenzioso ancora prima di iniziare a qualificare le miscele e partire con la produzione.
Le proprietà leganti che conferiscono le prestazioni meccaniche al calcestruzzo indurito sono il risultato della reazione di alcuni componenti del cemento, finemente macinato, con l’acqua ed alla conseguente formazione dei prodotti di idratazione.
L'idratazione del cemento consiste in una serie di complesse reazioni chimiche che in genere sono così semplificate:
L'idratazione degli alluminati dà origine alla formazione di alluminati idrati di calcio (C-A-H) mentre quella dei silicati alla formazione dei silicati idrati di calcio quasi amorfo (C-S-H) con proprietà di un gel tobermoritico. L'indurimento, e pertanto il potere legante del cemento, è dovuto alle fasi silicatiche idratate, (C-S-H), mentre la formazione degli alluminati idrati di calcio (C-A-H) non apportano alcun contributo alla resistenza meccaniche delle paste cementizie.
La UNI EN 197, la norma per cementi comuni, indica tutte le tipologie e le classi di resistenza dei cementi impiegati in Europa ed in Italia.
Il prof. Luigi Coppola ha inserito nel suo libro CONCRETUM una tabella esemplificativa, e molto utile, che da una idea generale delle varie fasi di idratazioni del cemento e del relativo comportamento del calcestruzzo.
Non si dice nulla di nuovo se si ricorda che – come ormai ampiamente riportato in letteratura - la quantità di acqua stechiometrica considerata necessaria per l’idratazione del cemento si può calcolare in base al contenuto dei costituenti mineralogici in base alle reazioni di idratazione. Per un cemento Portland ordinario occorrono circa 23 grammi di acqua per idratare 100 grammi di cemento. I pori del gel trattengono 19 grammi di acqua per 100 gr di cemento. Ne consegue che l’acqua totale necessaria per idratare completamente 100 g di cemento è pari a: g 23 (idratazione) + g 19 (pori del gel) = g 42.
Il rapporto acqua/cemento teorico, riferito alla pasta di cemento è quindi pari a 0,42: in tali condizioni non ci dovrebbe essere acqua libera nella pasta del cemento, ovvero quell’acqua che non essendo né legata né assorbita dai pori poi genera una maggiore porosità e minore compattezza della pasta.
Ovviamente questo vale se si ritiene che venga idratato il 100% del cemento (e per un teorico Cemento Portland), ma in realtà non tutto il “peso” di cemento viene idratato, e quindi è sufficiente una quantità di acqua più bassa. In genere si considera una idratazione del 50/60% del cemento, quindi si può ritenere che il rapporto acqua/cemento teorico, riferito alla pasta di cemento sufficiente per l’idratazione sia dell’ordine del 0,3.
Nella realtà succede che per migliorare la durabilità senza utilizzare gli additivi specifici si tenda a lavorare con rapporti acqua cemento superiori (anche a quanto previsto dalle classi di esposizione ambientali) finendo per ridurre la qualità del calcestruzzo. Un rapporto acqua/cemento 0,6 può portare a un incremento del 45% della porosità della pasta di cemento.
Il raggiungimento/mantenimento del corretto rapporto acqua/cemento non dipende solo dalla capacità professionale del progettista del mix design, ma anche dalla scelta degli additivi e/o aggiunte utilizzati e dalla corretta attività di tutti gli operatori nella filiera del processo, inclusi quelli allo scarico e al pompaggio.
La quantità di acqua da aggiungere all’impasto nel momento della produzione viene calcolata dai software in dotazione all’impianto, generalmente definiti come betoncomputer, a fronte di un calcestruzzo avente resistenza caratteristica definita.
Gli aggregati, le sabbie in particolare, sono quasi sempre bagnati e l’acqua di superficie può essere di una misura importante. Pensiamo a una sabbia calcarea di frantoio, dosata senza avere avuto un buon periodo di deposito a terra, che contiene un 2,5% di umidità superficiale: 800 kg di sabbia portano 20 litri di acqua, in grado quindi di cambiare un rapporto acqua/cemento di circa 0,08.
La misura dell’umidità degli inerti (argomento che è possibile approfondire con l’articolo a firma del prof. Marano e altri) non è un’operazione semplice, soprattutto quando gli aggregati stessi presentano umidità elevate o essere in condizioni di sotto saturazione.
Ecco perché è molto importante la qualità tecnica dell’impianto di produzione unitamente alle tipologie di sonde installate.
Sarebbe bene ricordare agli operatori di impianto che queste le sonde devono essere frequentemente tarate e controllate con un sistema di automazione che sappia interpretare al meglio i valori dei sensori.
Naturalmente anche la miscelazione in autobetoniera o nel premixer deve essere operata con professionalità e attenzione, senza trascurare tutte quegli accorgimenti di rilevamento, per esempio, della consistenza del calcestruzzo che deve essere evidenziata direttamente ai video dei dosatori.
In cantiere si può valutare il rapporto acqua/cemento con una prova immediata ma alquanto pericolosa: la prova di bruciatura del calcestruzzo con alcool.
Si preferisce pertanto ricorrere ai forni a microonde facilmente portabili in cantiere e che ci danno delle letture molto significative e attendibili.
Le operazioni devono essere fatte da personale preparto ed esperto.
In questo breve articolo divulgativo si è voluto ricordare l’importanza del rapporto acqua/cemento, perché da questo semplice parametro dipendono la gran parte delle prestazioni del calcestruzzo.
Per concludere si riprendono alcuni consigli pratici.
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